Vegefobia: un problema individuale?

di Marco Reggio

Se vogliamo fare una discussione sulle strategie del "movimento", la cosa si fa lunga. Nessuno ha la verità in tasca, ma è chiaro che ci sono alla base concezioni molto diverse. Lo si vede proprio dalla questione vegefobia. L'atteggiamento tipico di molti vegan è proprio quello che noi del Veggie Pride denunciamo insieme alla vegefobia. E cioè: si tratta, quando esiste, di una questione individuale, da trattare come tale, con vari stratagemmi, talvolta legali, talvolta retorici, talaltra opportunistici. Insomma: fatti vostri (con al massimo un po' di consulenza ai singoli).

Ma questa non è politica. Se la vegefobia esiste (non nei termini in cui la descrivono alcuni, cioè dandone una descrizione grottesca per poi attaccare facilmente il concetto come esagerato o irrealistico) va denunciata pubblicamente e affrontata come un problema collettivo (non necessariamente un problema grave, chissà).

Anche se il parallelo con l'omofobia può avere i suoi limiti, ogni tanto serve per capire qualche cosa elementare. Sono esistiti (ed esistono ancora) tanti omosessuali che di fronte alle discriminazioni subite tacciono pubblicamente e risolvono le questioni privatamente in mille modi. Naturalmente, spesso ci riescono pure (e fanno bene!). Ma il movimento, in determinati momenti storici, ha detto: diciamo pubblicamente che esiste l'omofobia e denunciamola. Altrimenti, la società non progredisce di un passo sulla questione. Questo non esclude che si possano e si debbano anche dare consigli su come "cavarsela" individualmente, ma sono due cose diverse. Infatti, molti gruppi animalisti non fanno politica. Questo perché pensano che il veganismo non sia una questione politica, ma solo un bello stile di vita. Che tale stile di vita sia bello o meno, sano o meno, possiamo discutere a lungo. Ma io non penso che sia solo quello. Penso che sia una scelta di contestazione della strage degli animali. Se considerassimo seriamente, da veri animalisti, che cos'è una "strage", non penso che diremmo alla leggera "bisogna solo informare".

Comments

1. On Monday, July 25 2011, 21:54 by telin

ok, allora, cominciamo a citare degli esempi di vegefobia. ma concedimi, italiani, un minimo frequenti, insomma che non siano attribuibili a casi isolati ed estremi. E ovviamente che non abbiano a che vedere con il terrore della morte indotta da denutrizione, tipica della condizione di assoluta ignoranza in cui ancora tutti versiamo. Perché concedimi che pure io ho dei dubbi sulla validità dell'alimentazione vegan così come la intendiamo comunemente ad esempio nei bambini, e lo ammetto, penso di essere ignorante nonostante il mio tentativo di informarmi perché ciò che si sa è veramente poco e talvolta debole come argomento "nutrizionista". Penso che se questo fenomeno, la vegefobia, non è un minimo percepito sulla pelle dopo magari venti e passa anni di veg*anesimo (è il mio caso), nonostante l'interesse a verificare se altri la subiscano o meno, forse non è così consistente da essere obbiettivo primario del caro estinto "movimento". Se, come io penso, si tratta di casi esistenti ma non così consistenti da giustificare la denuncia di una vera e propria "fobia", questi devono essere certo combattuti ma all'interno di altri obbiettivi.
scusa la brevità, vado a sfamare il cucciolo. telin

2. On Tuesday, July 26 2011, 17:44 by Marco

cara Telin, ciao! (pure qui, aiutoooo)
Facciamo un passo indietro, e poniamoci il problema se la vegefobia esista e in che termini. Quello di cui si parlava nel testo, in realtà, era l'atteggiamento di chi implicitamente ammette che esiste ma pensa che non vi si debba rispondere, anzi si debba far finta di nulla, e non perchè lo considera un problema secondario, ma un problema da "gestire" negandolo.
Se invece ci poniamo il problema se esista o meno, ci scontriamo con il fatto che non sono stati fatti studi sistematici, mentre in altri campi questo è avvenuto, perchè c'è una lunga tradizione di critica: il movimento omosessuale ha mostrato che ci sono tutta una serie di episodi che non vengono raccontati o vengono riportati in modo distorto, le femministe hanno mostrato quanto certe forme di comunicazion veicolino stereotipi di genere, ecc.. Noi non abbiamo ancora fatto granchè: va fatto. E' anche per questo che talvolta si guarda all'estero. Se parliamo di studi ben fatti, ti consiglio di leggere questo recente, di un autore che tu conosci (M. Cole): http://onlinelibrary.wiley.com/doi/...
Molto ben documentato e per me condivisibile in alcune osservazioni che trae dall'analisi della stampa inglese. Ora, il punto è anche che dobbiamo definire che cosa andiamo a cercare, per cercarlo. Anche se volessimo cercarlo in Italia (perchè poi solo in Italia?). Se vuoi esempi, frequenti, intanto, potresti andare su un qualsiasi forum vegan e trovarne a bizzeffe. Certo, pochi li chiamerebbero con questo nome, e bisogna intenderesi sul come "leggere" i fenomeni. Per es., tu hai dubbi sull'alimentazione vegan per bambini. Scientificamente, però, è provato che è possibile crescere dei figli vegan. E' esperienza comune che, anche ammettendo che spesso essere vegan non è difficile, crescere un bambino vegan lo è di più. Eppure, non dovrebbe esserlo. Perchè lo è? Per tutta una serie di motivi che hanno a che fare con il fatto che la società è strutturata per boicottare sia questa pratica sia soprattutto il messaggio ceh questa pratica porta: formazione medica inadeguata (per usare un eufemismo), criminalizzazione dei genitori, ostilità della comunità, ecc.. Detto ciò, non è mica detto che sia obiettivo "primario" di un movimento, addirittura. Però può essere un obiettivo importante o meno.

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