Esercizi di vegefobia nel cinema italiano

Esercizi di vegefobia nel cinema italiano

veggiepoulette.jpg

La vegefobia sta penetrando nel cinema italiano? È presto per dirlo. Per affermarlo occorre che si consolidi una tendenza, di cui a tutt’oggi non esiste traccia consistente. Per quanto io ne sappia, vi sono solo due esempi sgradevoli e recenti. Dovrebbero tuttavia essere sufficienti per promuovere un certo stato di attenzione negli ambienti dell’attivismo per la liberazione animale. Infatti il cinema – e, prima ancora, quella commedia italiana capace di attrarre il grande pubblico – possiede notevoli potenzialità nell’orientare pensieri e atteggiamenti collettivi. I due casi, di cui fornirò una breve descrizione, hanno l’aggravante di essere film di grande richiamo sul pubblico. Vediamo le sequenze “incriminate”. “Sole a catinelle” di Gennaro Nunziante e interpretato da Checco Zalone rappresenta il film ultimamente più visto dal pubblico italiano (ha fatto incassi da paura: 48 milioni di euro). Il Checco, un personaggio tutto sommato delicato ma piuttosto squinternato, mentre porta il figlio in vacanza, per caso fortuito si trova a salvare dall’afasia il figlio di una ricca imprenditrice. In virtù di questo inaspettato risultato, viene accettato, per un certo tempo, nella vita familiare della donna. In un ambiente naturalistico delizioso, Checco e il figlio vengono invitati a pranzo. Che sorpresa però… niente bistecche sulla tovaglia del pic nic distesa sull’erba, ma solo miglio, insalate e altre leccornie vegane che la donna si premura di dichiarare tali. Checco allora porta le mani dietro la schiena a mo’ di alucce, si china sul cibo e, imitando la gallina nei movimenti e nei versi, chiude la sequenza inducendo risate scomposte nella sala. Il messaggio è chiaro. Se i ricchi sono (o possono essere) vegani, vuol dire che il cibo vegan è roba da ricchi. Questo è il gancio. Ma c’è anche l’uppercut: si mangia vegetale per puro snobismo. Il pubblico di Checco è un pubblico da cinepanettoni cioè proteso alla risata grassa (anche se credo che l’attore si distanzi non poco da quello standard e meriti di meglio). Quindi è inevitabile che una sequenza simile rinforzi prima ancora dell’onnivorismo, l’ostilità verso l’alimentazione veg in gruppi sociali poco propensi al ragionamento.

Ancora peggio – penso – gli effetti “vegefobici” prodotti da “Allacciate le cinture” di Ferzan Ozpetek. Infatti il film (uno dei meno riusciti del regista turco) si propone come commedia attenta alle problematiche umane. Il pubblico che accorre in sala non ricerca dunque la facile risata, ma la riflessione intorno a una “storia” e alla vita dei personaggi. Cosicché, se il risultato riguarda un pubblico minore dal punto di vista quantitativo, dal punto di vista qualitativo gli effetti sulla vegefobia possono essere ancora più marcati. Inutile seguire la storia del film. Mi limito a tracciare brevemente il personaggio (secondario) che interessa il nostro tema. Viviana, la zia della protagonista (Elena), si presenta come una donna nevrotica, fragile, protesa a cambiare interessi come si può cambiare d’abito e in preda alla depressione bipolare. Impariamo a conoscerla come un tipo altamente inaffidabile in un momento di insensata esaltazione. La ritroviamo tredici anni dopo quando, rimpatriata con foglio di via dal Canada per aver partecipato a una manifestazione animalista contro le pellicce e diventata vegana, si ritrova a indottrinare la figlia della protagonista (la nipotina di sua sorella). Conseguentemente la bambina incomincia a criticare tutti i familiari perché dai loro piatti «gronda sangue». Senonché, giunge il pranzo fatidico. Zia Viviana si sta attardando in cucina. Il babbo della bimba, per invitarla a mangiare il volatile cucinato e ben disposto sulla tavola, ne descrive la vita felice vissuta prima di diventare cibo. Poi la nonna invita la bambina ad andare a chiamare la zia. La bimba varca la soglia della cucina e la vede mentre sta mangiando di nascosto un “succulento” salsicciotto. Zia Viviana, imbarazzatissima, balbetta un “non è come credi…” e la bimba, perplessa per questo vile tradimento, ritornando al tavolo chiede ai parenti se anche il maiale fa una vita “felice” prima di diventare cibo. Non sfuggirà l’effetto complementare dei due film. Il primo definisce un personaggio della classe ricca e, tratteggiandolo in quanto vegan, lo dà in pasto a un pubblico gericamente ostile alle fortune (degli altri). Il secondo profila un personaggio fragile, tendenzialmente soggetto a scarsa stima degli altri, e lo dà in pasto a un pubblico riflessivo. In tal modo il quadro è completo. Per alcuni il vegan è snob e ricco, per altri è emarginato e sfigato e, probabilmente, neppure sincero. In ogni caso, è lontano dalla “norma”.

Poco da aggiungere: per un attivista per la liberazione animale le due sequenze sono decisamente sgradevoli. Tuttavia, come dicevo all’inizio, potrebbe trattarsi di casi senza seguito. Un’ultima considerazione. C’è qualcosa di paradossale in queste due pellicole. Nella prima, con Checco, c’è un gran sbandierare di vessilli rossi come al cinema non se ne vedeva da anni. E c’è anche attenzione per il lavoro, la disoccupazione e la fragilità sociale. Temi che non si liberano da uno stile naif, ma comunque degni in sé. Il regista di “Allacciate le cinture”, ha invece da sempre mostrato quella grande delicatezza verso l’omosessualità che non manca nemmeno in questo ultimo lavoro. Insomma si tratta di film per certi versi “contro” le discriminazioni. E questo significa che in certi ambiti esistono gli spazi per un faticoso ma possibile reciproco riconoscimento, purché anche il movimento di liberazione animale si liberi di aspetti che, visti dall’esterno, alimentano percezioni distorte.

Aldo Sottofattori veggiepoulette.jpg

Comments

1. On Monday, July 14 2014, 12:22 by Kabakoc

Ti cito: «Il pubblico di Checco è un pubblico da cinepanettoni cioè proteso alla risata grassa…» , «…l’ostilità verso l’alimentazione veg in gruppi sociali poco propensi al ragionamento» e «… lo dà in pasto a un pubblico gericamente ostile alle fortune (degli altri)» (eventuali errori ortografici sono tuoi, ho fatto un copia e incolla). Ecco come descrivi il pubblico delle commedie: dei poveracci (economicamente parlando) e pertanto degli scemi che non ragionano. Praticamente ti sei risposto da solo: il veganesimo È, a tutti gli effetti, una moda snob per ricchi che vogliono darsi arie.
Tutto qua. Potrai dire quel che vuoi, ma col tuo articolo lo hai confessato ed ammesso tu stesso.

They posted on the same topic

Trackback URL : http://it.vegephobia.info/index.php?trackback/40

This post's comments feed