La negazione fisica degli animali attraverso la negazione simbolica dei vegetariani

da «L'animale è politico» di Agnese Pignataro

Torniamo al gesto vegetariano. Come già detto, nel Veggie Pride il gesto di disobbedienza è esposto pubblicamente, in forma di protesta. Esso si traduce anche in una richiesta di riconoscimento dell'esistenza sociale - e quindi dei diritti - dei vegetariani e dei vegani:

Agli animali allevati e uccisi non si riconosce alcun diritto; ma a noi che siamo solidali con loro ne vengono riconosciuti, almeno teoricamente. Intendiamo esercitare pienamente i nostri diritti, perché sono i nostri, e perché sono i loro: sono gli unici diritti che essi oggi, indirettamente, posseggano. Abbiamo il diritto di poter mangiare correttamente nelle mense, al lavoro, a scuola e in ogni luogo collettivo. Abbiamo il diritto di crescere i nostri figli senza imporre loro i prodotti del mattatoio. Chiediamo che le nostre tasse non vengano più utilizzate per pagare la carne o il pesce degli altri.

Queste rivendicazioni non rappresentano, come si potrebbe ingenuamente pensare, un'involuzione egoista del soggetto vegetariano, preoccupato di proteggersi e di vedere riconosciuta e tutelata la propria nicchia. Al contrario, si tratta della massima estensione della solidarietà. Una solidarietà che consiste infatti nel proiettare sull'animale non umano, che nella società umana è un non-essere, un vuoto, un nulla, l'essere che a noi è doppiamente riconosciuto, in quanto umani e in quanto cittadini. Difatti, noi abbiamo diritto, fondamentalmente, a non essere negati, né fisicamente, né simbolicamente; ma come vegetariani, viviamo l'imposizione di una negazione da parte della società, che non riconosce la nostra esistenza, e subiamo simbolicamente l'annientamento che gli animali non umani subiscono fisicamente. Con il Veggie Pride, rifiutiamo sia la nostra negazione simbolica, assumendo la fierezza del nostro gesto di disobbedienza, sia la negazione fisica degli animali non umani, denunciandone il massacro: le due cose si intrecciano, e l'una implica l'altra. Recuperando così pienamente il nostro essere sociale, contribuiamo nel contempo a colmare il vuoto a cui la società condanna i non umani sfruttati, estendendo a loro, per quanto possibile, la «personalità» che è attribuita a noi. Cosicché, attraverso questa proiezione, nel Veggie Pride noi affermiamo implicitamente l'inclusione degli animali non umani nella nostra società, nella nostra cerchia politica.

Per questo, inoltre, il Veggie Pride costituisce un'esperienza che oltrepassa la compassione. La compassione (il «sentire con», ovvero l'immedesimazione) è un fenomeno individuale, immerso nell'esperienza soggettiva, anche quando filtrata con lenti filosofiche o religiose. Il Veggie Pride è viceversa un evento collettivo, pubblico. Di conseguenza, nel Veggie Pride, l'esperienza di identificazione dei vegetariani con gli animali non umani coinvolti nella produzione alimentare non rappresenta una mera proiezione emozionale, ma al contrario l'espressione del riconoscimento di una comunità di destino all'interno di un mondo di relazioni comuni, quello tra esseri senzienti: si tratta di una solidarietà politica.

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